influenzare l’organizzazione: le 6 mosse vincenti
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Il “leadership thinker” numero uno al mondoMarshall Goldsmith è stato di recente riconosciuto come il miglior “leadership thinker” al mondo e si è posizionato al settimo posto nella classifica dei “business thinker” mondiali, stilata dall’ Harvard Business Review. |
Molte persone di successo manifestano alcuni di questi comportamenti. Marshall utilizza questo breve esercizio con i leader di successo delle società di Fortune 500 per identificare questi comportamenti inconsapevoli.
Stampa questa valutazione per te e per il tuo team, poiché la consapevolezza delle proprie abitudini comportamentali inefficaci e la conoscenza di quelle altrui è il primo passo per una vera crescita della leadership.
Abitudine n.1 – Vincere sempre
Se ottieni un pizzico di successo, ne paghi le conseguenze ogni giorno.
L’irrefrenabile desiderio di vittoria è indubbiamente il problema comportamentale più comune che si possa riscontrare nelle persone di successo. C’è una linea sottile tra essere competitivi ed essere ultra-competitivi, o tra vincere quando conta e vincere quando, invece, non è importante, ma le persone di successo oltrepassano questa linea con una frequenza preoccupante! Parliamoci chiaro: non sto disprezzando lo spirito di competizione. Sto semplicemente cercando di far capire che, a volte, tale spirito di competizione viene messo al servizio di obiettivi per i quali non varrebbe nemmeno la pena di sforzarsi.
Se il desiderio di vincere è il gene dominante del nostro DNA, nonché la principale ragione del nostro successo, allora il bisogno di vincere sempre e comunque non è che una perversa mutazione genetica che rischia di limitare tale successo. Tuttavia, se riconosciamo questo “tratto” e lavoriamo per eliminarlo dalle nostre relazioni interpersonali, potremo beneficiare di un successo ancora maggiore.
Abitudine n.2 – L’eccessivo bisogno di difendere il proprio “io”
Ognuno di noi mette in atto una serie di comportamenti che giustifica con un semplice “sono fatto così”. Si tratta di quei comportamenti cronici, sia positivi che negativi, che consideriamo come la nostra essenza inalterabile.
Se siamo cronicamente restii a rispondere alle telefonate, ci riteniamo scusati ogni volta che non richiamiamo coloro che ci hanno cercato: “Sono fatto così. Fattene una ragione”.
Se, a causa della nostra disorganizzazione, roviniamo abitualmente i programmi altrui, è perché, semplicemente, “siamo fatti così, siamo fedeli al nostro io”.
Se esprimiamo sempre la nostra opinione, senza pensare alla sua utilità o ai sentimenti altrui, stiamo soltanto esercitando il nostro diritto a essere noi stessi. Cambiare vorrebbe dire andare contro la parte più vera e profonda del nostro essere, e ciò sarebbe incoerente e non autentico.
Una soluzione c’è, e consiste in un’interessante equazione: meno “io”, più “loro”, uguale successo. Tienila a mente quando ti accorgi di resistere al cambiamento perché sei aggrappato alla falsa e inutile idea di “io”. Non si tratta di te. Si tratta di ciò che gli altri pensano di te.
È facile comprendere che, col passare del tempo, rischiamo di oltrepassare i limiti, trasformando i nostri difetti in virtù, semplicemente perché tali difetti, costituiscono il nostro “io”. La sconsiderata lealtà nei confronti della nostra vera natura, ovvero l’eccessivo bisogno di ostentare e difendere il nostro “io”, rappresenta uno dei principali ostacoli in vista di un cambiamento positivo e a lungo termine del nostro comportamento.
Abitudine n.3 – Aggiungere troppo valore
È una grande idea, ma funzionerebbe meglio se…
Per le persone di successo risulta estremamente difficile riuscire ad ascoltare qualcosa che sanno già senza comunicare in un certo senso che:
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Immagina di essere l’amministratore delegato. Vengo da te con un’idea che ritieni molto valida. Poiché devi aggiungere valore, piuttosto che darmi una pacca sulla spalla e dire: “Ottima idea”, la tua inclinazione è quella di dire: “Buona idea, ma sarebbe meglio se provassi in quest’altro modo”. Il problema è che, potresti aver migliorato il contenuto della mia idea del 5%, ma, sottraendomi “la proprietà” dell’idea, hai ridotto del 50% l’impegno che dedicherò alla sua realizzazione.
Questo è l’errore che si commette quando si vuole a tutti i costi aggiungere valore. Molto più di ciò che guadagniamo grazie a un’idea migliore viene perso a causa della sminuita dedizione dei nostri dipendenti.
Non fraintendermi. Non sto dicendo che i capi devono tenere la bocca chiusa per mantenere alto lo spirito del team. Tuttavia, maggiore è la carica che ricopriamo, maggiore sarà la necessità di rendere vincitori gli altri, senza cercare di ottenere delle vittorie personali.
Abitudine n. 4 – Negatività o “Lasciami spiegare perché non funzionerà”
Se la negatività è un tuo “tratto”, a primo impatto potrei consigliarti di monitorare le tue affermazioni nel momento in cui qualcuno ti offre un suggerimento. Tuttavia, in questo caso, penso che tu possa ottenere risultati migliori riflettendo sul modo in cui i tuoi colleghi si relazionano con te. Se dopo questa riflessione ti viene il sospetto che fuori dalla porta del tuo ufficio ci sia un cartello immaginario con scritto “Non entrare”, hai già guadagnato un po’ di consapevolezza in più in merito ai cambiamenti di cui hai bisogno. |
Tutti noi conosciamo persone negative sul posto di lavoro. Si tratta di quelle persone che, per natura, sono incapaci di dire qualcosa di positivo o di lusinghiero nei confronti di un tuo qualsiasi suggerimento.
La frase “lasciami spiegare perché non funzionerà” è un classico: sotto le spoglie di un finto aiuto, si cela la più pura e assoluta negatività.
La utilizziamo per dimostrare che la nostra competenza o la nostra autorità sono superiori a quelle di qualcun altro.
Questo non significa che ciò che diciamo sia corretto o utile. È semplicemente un modo per infilarci in una situazione, in qualità di capo arbitro o di critico con maggiore esperienza. Il vero problema sono la scarsa considerazione e il poco rispetto che riserviamo ai nostri critici.
Col passare del tempo tendiamo a evitarli, smettiamo di lavorare con loro e ci rifiutiamo di aiutarli.
Abitudine n. 5 – Non dare il giusto riconoscimento
Negando il riconoscimento al contributo di una persona che, con il suo lavoro, ha favorito il successo del team, non stai soltanto trattando le persone con ingiustizia, ma le stai addirittura privando della ricompensa emotiva tipica del successo. Non possono gioire del successo o accettare congratulazioni, poiché tu hai soffocato questa possibilità. Al contrario, si sentono dimenticati, ignorati e messi da parte.
Il riconoscimento è strettamente legato al “finale emotivo”. Si tratta del meraviglioso fiocco che avvolge la scatolina in cui è racchiuso il prezioso regalo del successo, che tu e il tuo team avete ottenuto. Quando non dai quel riconoscimento, stai screditando il regalo. Hai il successo ma ti manca il ricordo di quella piacevole sensazione; e tutti abbiamo bisogno di un “finale emotivo” in qualsiasi rapporto interpersonale.
“Uno dei miei clienti mi ha insegnato una meravigliosa tecnica per migliorare nell’essere riconoscente:
- 1- Fare una lista dei gruppi di persone più importanti della tua vita (amici, famiglia, colleghi, clienti, ecc.)
- 2- Annotare i nomi di tutte le persone importanti di ogni gruppo
- 3- Due volte alla settimana, riesamina la lista e domandati: “Qualcuno in questa pagina ha fatto qualcosa per cui io dovrei essere riconoscente”?
- 4- Se la risposta è sì, dai loro un veloce riconoscimento, tramite una telefonata, una mail, un messaggio vocale o un biglietto. Se la risposta è no, non fare niente.
Nel giro di un anno, la reputazione di questo dirigente nel dare riconoscimenti positivi è passata da scarsa a eccellente. Lui stesso è rimasto stupito dal poco tempo necessario a ottenere un risultato così importante.”
Quest’articolo si basa su precedenti pubblicazioni di Marshall Goldsmith, Will Linssen, Frank Wagner e Chris Coffey ed è stato tradotto da StrateA in italiano.