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SCRITTO DA HERMINIA IBARRA
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L’equilibrio fra autenticità ed efficacia? In 3 passi semplici ed agili quindi come trovare il giusto bilanciamento fra autenticità ed efficacia?
In decine di interviste con dirigenti di talento alle prese con nuove aspettative, ho capito che le situazioni in cui si ritrovano più frequentemente a confrontarsi con l’autenticità sono le seguenti.
Prendersi carico di un ruolo sconosciuto
Come tutti sanno, i primi 90 giorni sono critici in un nuovo ruolo di leadership. Le prime impressioni si formano rapidamente e sono importanti. A seconda delle personalità, i leader rispondono in maniera molto diversa alla crescente visibilità e alla pressione da prestazione.
Lo psicologo Mark Snyder, della University of Minnesota, ha identificato due profili psicologici che ci danno informazioni sul modo in cui i leader sviluppano i propri stili personali. Gli “individui a elevato monitoraggio personale”, o camaleonti, come li chiamo io, sono naturalmente abili e volenterosi nell’adattarsi alle esigenze della situazione, senza sentirsi falsi. I camaleonti curano la gestione della propria immagine pubblica e, spesso, mascherano la vulnerabilità con la sbruffoneria. Possono fallire al primo tentativo, ma continuano a sperimentare stili diversi come fossero nuovi vestiti, finché non trovano quello più adatto a loro e alle circostanze. Grazie a questa flessibilità, avanzano spesso rapidamente. Tuttavia, corrono il rischio di essere percepiti come falsi e privi di morale, nonostante stiano soltanto esprimendo la loro “vera” natura di camaleonti.
“Essere autentici non significa essere trasparenti”.
Al contrario, i “fanatici dell’autenticità” (definiti da Snyder “individui a basso monitoraggio personale”) tendono a esprimere ciò che realmente pensano e provano, anche quando ciò va contro le esigenze della situazione. Il rischio con i “fanatici dell’autenticità”, come Cynthia e George, è che rimangano attaccati per troppo tempo al comportamento rassicurante che impedisce loro di soddisfare le nuove necessità, invece di sviluppare il proprio stile grazie all’acquisizione di esperienza e conoscenza. (…)
Il problema principale è trovare il giusto mix di distanza e vicinanza in una situazione sconosciuta. La psicologa di Stanford, Deborah Gruenfeld, descrive questo processo come la gestione della tensione tra autorità e accessibilità. Per essere autoritario, privilegi le tue conoscenze, esperienze e competenze rispetto a quelle del team, mantenendo una certa distanza. Per essere accessibile, enfatizzi le relazioni con le persone, i loro input e la loro prospettiva e guidi gli altri con empatia e calore umano. Trovare il giusto bilanciamento manda in crisi i “fanatici dell’autenticità”, i quali, tipicamente, preferiscono di gran lunga scegliere l’una o l’altra opzione.
Vendere le tue idee (e te stesso).
La crescita della leadership, solitamente, comporta il passaggio dall’avere buone idee ad lanciarle alle diverse parti interessate. I leader inesperti, specialmente i “fanatici dell’autenticità”, trovano sgradevole “ottenere l’adesione”, poiché, tale procedimento, appare artificiale e politico; credono che il la qualità del loro lavoro e i loro risultati parleranno da sé. (…)
Molti manager sanno bene che le buone idee e il grande potenziale passeranno inosservati, se non si impegneranno a vendersi meglio. Tuttavia, non riescono ad obbligarsi a farlo. “Cerco di costruire una rete basata sulla professionalità e su ciò che posso offrire per il business, non sulle persone che conosco”, mi disse un manager. “Forse questo non è intelligente dal punto di vista della carriera. Ma non posso andare contro le mie convinzioni. Di conseguenza sono stato più limitato nel creare una rete verso l’alto”. Finché non visualizziamo l’avanzamento di carriera come un modo per estendere la nostra portata e aumentare il nostro impatto sull’azienda (come una vittoria collettiva piuttosto che una ricerca egoista), avremo difficoltà a sentirci autentici nel momento in cui dovremo promuovere i nostri punti di forza alle persone influenti. I “fanatici dell’autenticità” incontrano serie difficoltà nel vendere se stessi ai dirigenti esecutivi, specialmente quando ne hanno il più grande bisogno: cioè quando non hanno ancora dimostrato ciò di cui sono capaci. Tuttavia, le ricerche mostrano che tale esitazione scompare quando acquisiscono esperienza e diventano più sicuri del loro valore.
Elaborazione dei feedback negativi.
Molti dirigenti di successo si imbattono in feedback particolarmente negativi, per la prima volta nel corso della propria carriera, quando assumono ruoli o responsabilità di maggiore importanza. Poiché la posta in gioco è decisamente più alta, le critiche appaiono molto pesanti anche quando non sono esattamente nuove. Tuttavia, i leader si convincono che tali aspetti disfunzionali del proprio stile “naturale” siano l’inevitabile prezzo da pagare per ottenere risultare efficaci. (…)
“Poiché, spesso, i feedback negativi rivolti ai leader si riferiscono allo stile, piuttosto che alle abilità o alle competenze, rischiano di apparire come una minaccia all’ identità: come se gli venisse chiesto di rinunciare al proprio “ingrediente segreto”. (…)
Il fattore culturale |
Qualunque sia la situazione, (assumere responsabilità in un territorio sconosciuto, vendere te stesso e le tue idee o elaborare un feedback negativo), trovare delle vie autentiche per essere efficace risulta ancora più difficile in un ambiente multiculturale. Come la mia collega della INSEAD, Erin Meyer, ha scoperto nelle sue ricerche, gli stili per persuadere gli altri e le tipologie di argomenti che le persone trovano persuasivi sono ben lontani dall’essere universali; sono profondamente radicati in presupposti culturali filosofici, religiosi ed educativi. Ciò detto, le prescrizioni per il modo in cui i leader dovrebbero apparire raramente sono così diverse come i leader. Nonostante le iniziative aziendali volte a costruire la comprensione delle differenze culturali e a promuovere la diversità, la verità è che ci si aspetta ancora che i leader esprimano le proprie idee in modo assertivo, che pretendano dei riconoscimenti per esse e che utilizzino il proprio carisma per motivare e ispirare gli altri. L’autenticità dovrebbe essere l’antidoto per un singolo modello di leadership. (Dopo tutto, il messaggio è quello di essere te stesso, non ciò che qualcun’altro si aspetta che tu sia). Tuttavia, dal momento in cui la nozione è diventata di moda, ha, ironicamente, assunto il significato di qualcosa di più limitato e culturalmente specifico. Uno sguardo più attento al modo in cui si insegna ai leader come scoprire e come dimostrare l’autenticità – raccontando una storia personale riguardante una difficoltà che anche loro hanno dovuto affrontare, per esempio – rivela un modello che è, effettivamente, molto Americano: basato su ideali come il rivelarsi agli altri, l’umiltà e il trionfo individualistico sulle avversità. Ciò equivale a una situazione paradossale per i manager appartenenti a culture con differenti norme per l’autorità, la comunicazione e lo sforzo collettivo, poiché devono comportarsi in modo non autentico al fine di conformarsi alle restrizioni delle leadership “autentica”. (…) |
Uno stato d’animo spensierato
Un concetto di se stessi troppo rigido può derivare da un’eccessiva introspezione. Quando guardiamo soltanto verso il nostro interno alla ricerca di risposte, rinforziamo inavvertitamente i vecchi modi di vedere il mondo e le vecchie visioni di noi stessi. Senza il beneficio di ciò che io chiamo “outsight”, ovvero la preziosa prospettiva esterna che otteniamo sperimentando nuovi comportamenti di leadership, gli abituali schemi di pensiero e di azione ci imprigionano. Per iniziare a pensare come dei leader, dobbiamo, prima di tutto, agire: tuffarci in nuovi progetti e attività, interagire con diverse tipologie di persone e sperimentare nuovi modi di fare le cose. . L’azione cambia chi siamo e ciò che pensiamo valga la pena di fare.
“Specialmente in tempi di transizione e incertezza, il pensiero e l’introspezione dovrebbero seguire l’esperienza, non vice versa”
Fortunatamente, ci sono modi per aumentare tale “outsight” ed evolvere verso una leadership “autentica e in grado di adattarsi”, ma è necessario godere di uno stato d’animo spensierato. Pensa allo sviluppo della leadership come alla sperimentazione di diversi “io”, piuttosto che a un lavoro incentrato solo su se stessi. Quando adottiamo un’attitudine spensierata, siamo più aperti alle possibilità. Ogni tanto, essere incoerenti da un giorno all’altro va bene! Non significa essere falsi; si tratta semplicemente di sperimentare per capire ciò che è giusto per le nuove sfide e per le circostanze che affrontiamo.
La mia ricerca suggerisce tre importanti modi per iniziare:
Imparare da diversi modelli di ruolo.
La maggior parte dei processi di apprendimento comportano necessariamente alcune forme di imitazione, oltre alla consapevolezza che niente è “originale”. Una parte importante della crescita di un leader è rappresentata dalla capacità di vedere l’autenticità non come uno stato intrinseco, ma come l’abilità di prendere gli elementi appresi dagli stili e dai comportamenti altrui e farli propri.
Tuttavia, non bisogna copiare soltanto lo stile di leadership di qualcuno; devi provare tanti modelli di ruolo diversi. C’è una bella differenza tra imitare completamente qualcuno e prendere in prestito, selettivamente, da diverse persone, per creare il tuo collage personale, da modificare e migliorare poi.
“Come disse il drammaturgo Wilson Mizner, “copiare un autore è plagio, ma copiarne molti è ricerca”.
Ho osservato l’importanza di questo approccio durante uno studio sulle banche di investimento e sui consulenti che passavano da lavori di analisi e progettazione, a ruoli di consulenza e vendita alla clientela. (…) Sebbene molti di loro si sentivano incompetenti e insicuri nella loro nuova posizione, i camaleonti prendevano coscientemente in prestito stili e tattiche dai senior leader di successo: imparavano, tramite l’emulazione, come utilizzare lo humor per rompere la tensione durante i meeting, o, per esempio, come modellare l’opinione senza apparire prepotenti. Essenzialmente, i camaleonti simulavano finché trovavano il modo adatto a loro. Notando i loro sforzi, i manager fornivano coaching e mentoring e condividevano le proprie conoscenze.
Risultato: nello studio, i camaleonti hanno raggiunto più velocemente uno stile autentico, ma più abile, rispetto ai “fanatici dell’autenticità”, i quali continuavano a focalizzarsi esclusivamente sulla dimostrazione della propria padronanza tecnica (…).
Cercare di migliorarsi.
Impostare degli obiettivi per apprendere (non solo per ottenere risultati) ci aiuta a sperimentare le nostre identità senza sentirci degli impostori, perché non ci aspettiamo che tutto vada bene sin dall’inizio. Smettiamo di proteggere il nostro caro e vecchio “io” dalle minacce che il cambiamento può portare e iniziamo a scoprire che tipo di leader potremmo diventare.
Ovviamente, tutti vogliamo ottenere buoni risultati in una situazione nuova: mettere in atto la giusta strategia, conseguire risultati importanti per l’azienda. Tuttavia, se ci concentriamo esclusivamente su questi aspetti, rischiamo di non voler correre rischi al servizio dell’apprendimento. Durante una serie di ingegnosi esperimenti, la psicologa di Stanford, Carol Dweck, ha dimostrato che la preoccupazione relativa all’immagine che gli altri hanno di noi inibisce l’apprendimento di nuovi compiti sconosciuti.
“Gli obiettivi di prestazione ci spronano a mostrare, agli altri e a noi stessi, che possediamo qualità di valore come intelligenza e abilità sociali. Al contrario, gli obiettivi di apprendimento ci motivano a sviluppare le qualità di valore”.
Quando siamo in modalità prestazione, la leadership consiste nel presentare noi stessi nel modo migliore. Nella modalità apprendimento, possiamo riconciliare il nostro desiderio di autenticità nel modo in cui lavoriamo ed esercitiamo la nostra leadership, con uguale e potente desiderio di crescere. Un leader che ho conosciuto, molto efficace con i piccoli gruppi, aveva problemi a trasmettere apertura verso le nuove idee durante i meeting a cui presenziavano più persone e durante i quali, spesso, si attaccava a presentazioni prolisse per paura di essere sviato dai commenti altrui. Si diede la regola del “no a PowerPoint” per sviluppare uno stile più rilassato e improvvisato. Fu sorpreso da quanto aveva imparato, non solamente rispetto alle sue preferenze in evoluzione, ma anche rispetto ai problemi più semplici.
Non aggrapparsi alla “propria storia”.
Molti di noi hanno racconti personali circa i momenti salienti che gli hanno insegnato delle lezioni importanti. Che tu lo sappia o no, spesso permettiamo alle nostre storie e alle immagini di noi che esse dipingono, di guidarci in nuove esperienze. Tuttavia, le storie diventano vecchie man mano che cresciamo, quindi, a volte, è necessario modificarle o addirittura eliminarle e ricominciare da capo. (….)
Dan McAdams, un professore di psicologia della Northwestern Univesity, il quale ha trascorso la sua carriera a studiare storie di vita, descrive l’identità come “la storia assimilata e in evoluzione, che risulta dalla selettiva appropriazione di passato, presente e futuro di una persona”. Non si tratta soltanto di un gergo accademico. McAdams sta dicendo devi credere nella tua storia, ma anche abbracciare il modo in cui essa cambia nel tempo a seconda delle tue necessità.
“Prova nuove storie su te stesso e tienile sempre aggiornate, proprio come faresti con il tuo curriculum”.
Correggere la propria storia è un processo sia introspettivo sia sociale. I racconti che scegliamo non devono soltanto riassumere le nostre esperienze e aspirazioni, ma devono anche riflettere le esigenze che affrontiamo con il pubblico che stiamo cercando di conquistare.
Innumerevoli libri e consulenti ti dicono di iniziare la tua esperienza di leadership con un chiaro senso di chi sei. Tuttavia, questa può essere una ricetta per rimanere bloccato nel passato. L’identità della tua leadership può e deve cambiare ogni volta che passi a cose più grandi e migliori.
“L’unico modo per crescere come leader è quello di allargare i nostri limiti facendo cose nuove e che ci fanno stare a disagio, ma che ci insegnano, tramite l’esperienza diretta, chi vogliamo diventare”.
Questa crescita non richiede una trasformazione radicale della personalità. Piccoli cambiamenti (del modo ci comportiamo, comunichiamo o interagiamo) possono fare molta differenza rispetto al modo in cui esercitiamo efficacemente la nostra leadership.
Herminia Ibarra è professore di organizational behavior e Cora Chaired Professor of Leadership and Learning presso l’INSEAD. È l’autrice di Act Like a Leader, Think Like a Leader (Harvard Business Review Press, 2015) e Working Identity: Unconventional Strategies for Reinventing Your Career (Harvard Business Review Press, 2003).